Ogni guerra finisce e anche questa finirà. Non possiamo però sperare in un ritorno al vecchio status quo e dobbiamo considerare il dopoguerra con molte precauzioni. La recente espulsione di 24 diplomatici italiani dalla Russia (16 maggio) con un provvedimento definito “atto ostile” dallo stesso presidente Mario Draghi, fa emergere la considerazione di Mosca che ci ritiene “parte in causa” nella guerra. Questo è un segnale che ci deve far comprendere che anche noi italiani, al pari di altri partner europei, non possiamo considerarci semplici spettatori di un film di guerra che, a proiezione terminata, se ne torneranno a casa parlando di altro. Per chi si occupa di sicurezza è quindi opportuno osservare questi segnali e trarre tutte le necessarie conseguenze, anche in termini di possibili azioni correlate, come ritorsioni di natura economica, certamente più probabili, ma che potrebbero anche assumere la forma di attacchi cyber, di rapimenti di connazionali durante viaggi di lavoro o di vacanze all’estero, o di artificiose migrazioni di massa incontrollate da regioni del Nord Africa o del Medio Oriente. Anche la presunta differenza di trattamento dei flussi migratori può essere millantata come discriminatoria per alimentare focolai di odio e favorire il reclutamento da parte di cellule terroriste come il Gruppo Gabar i cui componenti sono stati arrestati in questi giorni.
Se la guerra è destinata a durare a lungo, c’è da interrogarsi su come reagirà la società italiana, nel lungo termine, a una contrazione dei suoi diritti fondamentali e a un taglio del welfare per sostenere l’Ucraina nel respingere l’attacco russo. Per quanto riguarda l’umore dei nostri connazionali, le crisi economiche registrate in Italia nell’ultimo decennio hanno inciso sull’erogazione dei servizi e sulla tutela effettiva dei diritti, soprattutto in tema di sanità.
Intanto la stampa USA sta chiedendo se gli aiuti militari andranno nelle mani giuste e quanto alto sia il rischio che l’elevata disponibilità di armi durante l’attuale conflitto comporterà la proliferazione di armi illecite nella fase successiva al conflitto. A tal proposito, non si deve dimenticare quanto la mafia ucraina è ramificata in Medio Oriente e Caucaso e che almeno due battaglioni di jihadisti ceceni combattono al fianco degli ucraini in contrapposizione alle truppe di Mosca e ai governativi ceceni filorussi presenti anch’essi in questo conflitto.
L’ipotesi che un buon quantitativo di missili e lanciarazzi anticarro o antiaerei possano finire nelle mani di milizie jihadiste è un incubo per la sicurezza della stessa Europa. Il rischio è quello di un loro reimpiego per armare la malavita organizzata, il terrorismo, le tensioni e gli scontri sociali che potranno derivare dalla crisi economica.
Quella in Ucraina non è solo una guerra feroce, ma è anche una guerra ibrida e diffusa, che si sta estendendo nel cyberspazio e viene enfatizzata attraverso i social, sotto gli occhi della opinione pubblica mondiale. In questa temperie, il Governo ha appena varato la Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026. “Un’ottantina di azioni per rafforzare la resilienza nella transizione digitale del sistema Paese; conseguire l’autonomia strategica in questa dimensione; anticipare l’evoluzione della minaccia; gestire le crisi e contrastare la disinformazione online”, scrive Ansa. “Sarà l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale a garantire l’implementazione della Strategia”, ma nelle nuove policy è necessario ogni impegno per gestire i rischi legali, ancora oggi in crisi di vulnerabilità per la carenza di norme a tutela del rischio di attacco informatico, sulla proprietà delle informazioni estratte dai dati, il trattamento dei dati personali e la perdita di informazioni.
È questo il campo più evolutivo che ci offre questa guerra, combattuta intorno a noi: adattare le aziende al passaggio di filosofia operativa dalla Cyber Security alla Cyber Responce e Cyber Resilience, perché gli attacchi informatici cambiano rapidamente e di conseguenza gli scopi della sicurezza informatica di “Confidenzialità”, “Integrità” e “Disponibilità” devono essere interagenti con la capacità di adattarsi al contesto e alla capacità di resistere alle minacce, in modo da garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La sicurezza informatica sarà sempre più interdisciplinare, per rispondere a un insieme di tematiche che rivestono anche aspetti tecnici, ma che si riferiscono al più ampio e generale concetto di tutela della riservatezza. Dovranno formarsi team di ingegneri, consulenti informatici, avvocati civilisti, penalisti e specializzati in diritto della privacy. Questo perché l'aspetto tecnico deve essere affiancato da un insieme di regole di comportamento cui i dipendenti devono attenersi sia all'interno dell'azienda sia nei rapporti con soggetti terzi, nonché da una conformità delle attività aziendali alle disposizioni normative, ai regolamenti, alle procedure e ai codici di condotta.
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