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Il diritto alla vita

Per essere pronti ad affrontare situazioni di emergenza e rischi correlati non c’è bisogno di essere un esaltato o un disfattista, si tratta di una responsabilità che tutti dovremmo osservare per mantenere i nostri “beni” (le persone care e la famiglia, gli interessi, gli averi ed il lavoro) al sicuro se dovesse accadere un’emergenza o più in generale un evento critico.

Prima dell’attuale emergenza pandemica, grazie ai decenni di pace e assenza di conflitti armati conseguiti dal continente europeo, la maggioranza delle persone non aveva idea di cosa fosse o potesse implicare un repentino ed imprevisto rischio della vita. Finora, i maggiori pericoli di morte imprevedibile e repentina erano collegati alla guerra (internazionale o civile) ed alle grandi calamità naturali e - forse per paura - le persone negavano la possibilità che un pericolo collettivo potesse accadere anche nelle nostre città. Purtroppo, invece abbiamo visto che il rischio di una epidemia di agenti patogeni molto aggressivi costituisce un problema immediato che capita senza preavviso o con un tempo di reazione davvero breve, che mette perfino in crisi i piani d’azione degli organismi a tutela della salute e dell’incolumità dei cittadini.

In tema di rischi la memoria dell’umanità è corta, affetta da rimozioni, sono numerosi i riferimenti mitologici e storici sull’esperienza dei disastri patiti dall’umanità e tra questi, nella fuga di Enea, c’è la metafora della salvezza: il padre caricato sulle spalle e il figlio per mano, rappresentano la nostra condizione nelle estreme emergenze. Gli esseri umani sono coloro i quali soccorrono i più fragili, i malati, ma tutto ciò va sempre fatto preparando un futuro migliore alla prossima generazione, in sintesi partendo dalla salvezza della vita del gruppo si riafferma il diritto alla vita come diritto di ogni persona.

In Italia, sebbene il diritto alla vita costituisca il bene-fine primario del nostro ordinamento sociale, esso non trova espresso riconoscimento nella Costituzione Repubblicana, la Legge fondamentale su cui si regge lo Stato italiano. Tale mancata previsione può sembrare paradossale ma il nostro ordinamento, ponendo al proprio centro la persona umana, riconosce i diritti involabili e ne favorisce il pieno sviluppo sicché, il diritto alla vita, viene incontestabilmente riconosciuto come presupposto della Costituzione stessa:

l'art. 2 della Costituzione Italiana così dispone: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".

Il richiamo a questi "diritti inviolabili" ha la sua radice in una lunga tradizione storica e filosofica che si estende dal diritto naturale fino alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo. L’idea di fondo si basa sull’esistenza dei diritti naturali, dei diritti che appartengono per natura all’uomo e, perciò, precedono l’esistenza stessa dello Stato; questo dunque non li crea, ma deve riconoscerli e, soprattutto, garantirli concretamente attraverso le Leggi.

In altri termini, il diritto positivo cioè l’insieme delle norme poste dallo Stato, deve conformarsi alle norme del diritto naturale.

I diritti naturali, proprio in quanto costitutivi della natura umana, non sono legati ad una determinata cittadinanza, italiana piuttosto che francese, tedesca piuttosto che albanese, ecc.

Non si tratta, dunque, di diritti del cittadino, ma di diritti dell’uomo.

Il riconoscimento è importantissimo perché obbliga la Repubblica Italiana a garantire questi diritti fondamentali a tutti, anche a coloro che non siano cittadini italiani.

Sul piano politico e giuridico il riferimento fondamentale è rappresentato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, a cui la Costituzione Italiana fa riferimento quando parla di diritti inviolabili.

Essa all'art. 3 statuisce che: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona".

Da ciò discende che il diritto alla vita viene percepito come presupposto della manifestazione dello sviluppo della persona umana, in quanto senza di esso anche il riconoscimento, la tutela e l’esercizio di tutti gli altri diritti resterebbero astratte enunciazioni prive di effettività. Proprio riguardo al rapporto tra Costituzione Italiana e Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, la Sentenza della Corte costituzionale n. 54 del 1979 ha definitivamente stabilito la strettissima interconnessione sulla materia: “…il diritto alla vita, costituzionalizzato dall’art. 2 Cost., si eleva a diritto inviolabile per eccellenza”.

Tale importantissima sentenza della Consulta non risale ad un anno qualsiasi, il 1979 venne consacrato “Anno internazionale del Fanciullo” e vi fu dedicata particolare attenzione ai temi volti a caratterizzare il minorenne quale soggetto titolare di diritti e membro della comunità alla pari delle persone adulte. Da tale anno, attraverso lunghi e complessi negoziati, venne aperta alla firma la “Convenzione per i diritti dell’infanzia” (cosiddetta Convenzione di New York) la norma delle Nazioni Unite che oggi vanta il maggior numero di ratifiche degli Stati. Il diritto alla vita, di cui più si parla in questa Convenzione Internazionale riguarda la consapevolezza degli adulti per poi educare i bambini alla vita, per non sciuparla in futuro. Nella Convenzione di New York c’è quindi un precetto evoluto che deriva dallo spirito collettivo tramandatoci da Enea: il figlio, Ascanio. Mettersi in salvo nelle emergenze senza avere un figlio da condurre per mano è gesto disperato. Nel momento stesso in cui salva il padre, Enea deve sapersi padre. Il mito dice alla cronaca che, mentre con una mano dobbiamo custodire i nostri valori, con l’altra dobbiamo fare tutto il possibile per educare i nostri figli ad affrontare gli imprevisti della vita.


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